A scuola di rustell
di Valerio Di Fonso
Abruzzo uguale arrosticino. Un’equazione che non sempre, purtroppo, va a beneficio della promozione territoriale e del prodotto che, per eccellenza, meglio rappresenta la gastronomia. Bellissimo vedere i corridori del Giro afferrare sulla strada di Calascio un mazzo di rustelle, senza dubbio. Un ottimo marketing che, però, rischia di diventare una caricatura.
Ecco perché il Gal Abruzzo Italico-Alto Sangro, in sinergia con il Consorzio di tutela agnello del Centro Italia, ha avviato una campagna di informazione e formazione: una ventina di incontri con gli studenti, da quelli “base” fino all’Accademia di Niko Romito, ma anche in ristoranti della zona, con una tappa che ieri ha interessato il ristorante Le Grill di Castel di Sangro.
Perché è importante, per chi mangia e per chi vende, per chi opera nel settore della ristorazione e per chi ha la canaletta in giardino, capire qual è la differenza tra un prodotto di qualità e uno prettamente industriale, magari fatto con carni importate dall’estero.
La domanda, ormai, supera l’offerta nostrana L’arrosticino è diventato una pietanza ricercata da tutti, specie dai turisti quando entrano in territorio abruzzese. Giusto per snocciolare qualche numero, nell’intera penisola viene consumato un miliardo e mezzo di arrosticini l’anno. Per soddisfare la domanda servono, conti alla mano 1,2 milioni di capi. In Abruzzo ci sono in tutto circa 178mila pecore e di queste circa il 20% (poco più di 30mila) viene “lavorata” per le carni. A loro volta di questi capi circa un terzo viene impiegato per produrre arrosticini, ovvero 10mila capi su 1,2 milioni.
Va da sé che l’arrosticino abruzzese vero e proprio è un’eccezione, più che la regola. E per questo ora il Consorzio e il Gal Aias, che nel progetto hanno anche redatto un disciplinare dell’arrosticino IGP, puntano sulla qualità; perché insomma il vero arrosticino abruzzese sia un prodotto riconoscibile e di punta
“L’arrosticino si fa con la pecora – spiega Nunzio Marcelli, allevatore e presidente del Consorzio – ma visto il binomio inscindibile che si è creato tra questo prodotto e l’Abruzzo, noi dobbiamo puntare ad elevare la qualità della nostra offerta. Stiamo lavorando quindi per rendere riconoscibile un prodotto di alta qualità che utilizzi ad esempio gli agnelloni, anziché le pecore, per gli arrosticini: si tratta di pecore, cioè, che non hanno ancora raggiunto la maturità sessuale e che sono caratterizzate da una carne più magra o comunque con un grasso più digeribile. Oltre l’agnello IGP, insomma, creare l’arrosticino IGP”.
“Solo un piano strategico e sinergico tra gli operatori di questa filiera – spiega Giampaolo Tardella, direttore del Consorzio – potrebbe restituire alle montagne d’Abruzzo e del Centro d’Italia la possibilità di realizzare una rete di imprese in grado di alimentare una filiera della trasformazione che oggi acquista da fuori Italia oltre un milione di capi all’anno. Vale a dire quanto 2.000-2.500 delle nostre aziende potrebbero oggi allevare nell’areale”.