Capetièmpe, il capodanno dei morti in Abruzzo
di Valerio Di Fonso
Halloween si avvicina. Fantasmi e spettri tornano ad infestare le notti americane e, da qualche decennio, anche europee; a due mesi esatti dalla notte di San Silvestro che chiude definitivamente l’anno. Il culto dell’oltretomba e il capodanno in Abruzzo, invece, si incontrano in tempi remoti, oscuri e quasi sotterrati dalla sabbia della clessidra. Si tratta del Capetièmpe, ricorrenza che cade proprio il 2 novembre, festa di Ognissanti.
Lo Samhain, il capodanno celtico
Una ricorrenza cattolica quella del 2 novembre, ma dalle radici pagane. Più precisamente celtiche, legate al rito Samhain, il capodanno celtico che i popoli nordici dell’Europa festeggiavano in coincidenza della fine dell’anno solare, che al tempo coincideva con il termine delle attività legate all’agricoltura. Le temperature crollavano, e le provviste e le scorte di cibo venivano stipate in vista dell’inverno. Il mondo terreno, secondo le credenze celtiche, in questo periodo si troverebbe a stretto contatto con quello dell’oltretomba, vuoi per il sempre più precoce calar del sole e l’avanzare delle tenebre, vuoi per le prime gelate che investivano i territori celtici. Gli spiriti tornavano sulla terra, e per questo gli antichi celti decidevano di allietarli con feste, riti e baccanali sulle tombe degli avi. Danze, cibo, orge e vino per far tornare gli spettri nell’aldilà. Una credenza non troppo lontana del nostro, moderno, Halloween, con quei “dolcetti” regalati ai bambini travestiti da spiriti per assecondare la propria fame e farli tornare a casa senza subire alcuna ritorsione.
L’influenza celtica in Abruzzo
Anche in Abruzzo lo Samhain prosperò, specie dopo le invasioni barbariche e la caduta di Roma. Esempio ne sono i paesi di Penne, Pennapiedimonte e Penna Sant’Antonio. Realtà i cui toponimi iniziano con il prefisso per-, un’accezione celtica traducibile con “monte alto”.
Dallo Samhain al Capetièmpe
Da questa influenza pagana non restò esclusa la Valle Peligna, dove lo Samhain assunse il nome di Capetièmpe. Una festa della durata di dieci giorni, dall’1 novembre all’11 novembre (data che coincide con la festa di San Martino). E’ proprio in questo arco di tempo che le popolazioni peligne, per assicurarsi il favore dei defunti per il destino dei raccolti, davano vita a una serie di riti in loro favore. Le celebrazioni erano suddivise in quattro fasi: riti solari, riti funebri, riti di passaggio e riti di fertilità. La tradizione del Capetièmpe sopravvisse a lungo in Valle Peligna, parallelamente ai riti cristiani. In alcuni documenti ufficiali viene riportato che la pratica di banchettare nei cimiteri per “festeggiare” con i defunti venne vietata a Sulmona e nella Valle Peligna solo nel 1861, a seguito dell’Unità d’Italia.
I riti
E proprio la notte tra il 1 e il 2 novembre, la prima del Capetièmpe, viene etichettata come “notte del ritorno dei defunti”. La tavola per la cena rimaneva apparecchiata con un commensale e un bicchiere, con appena due dita di vino. Un piccolo pasto da far trovare ai defunti. Un segno per dimostrare di non essere caduti nell’oblio dei propri parenti. Le porte delle case restavano socchiuse, con il pavimento sporco. Una serie di pratiche permesse solo nei periodi del ritorno come Capetièmpe. Secondo la leggenda, infatti, se attuate in altri periodi, avrebbero attirato nelle abitazioni gli spiriti in un momento non consono, facendoli indispettire. E proprio come accade oggi con Jack-‘o-lantern, la notte del 31 ottobre, o con i lumini, anche nella Valle Peligna le strade si illuminavano la notte di Capetièmpe, con candele che spuntavano dalle finestre. Il motivo? Indicare la strada agli spiriti per trovare le abitazioni nelle quali dimoravano in vita. Ma cosa accadeva di preciso nei paesi del comprensorio peligno? Sappiamo che a Pettorano sul Gizio e a Pratola Peligna, i bambini vagavano con i volti sporchi di cenere o farina, bianchi come i fantasmi. Un rituale non molto lontano da quanto accade già oggi. Infatti, essi si recavano nelle case per riscuotere offerte di cibo o di denaro. A Prezza e Raiano, invece, i più giovani intagliavano i primordiali Jack-‘o-lantern. Qui, le zucche venivano private della polpa e decorate con occhi e bocche demoniache. Al loro interno veniva posizionato un cero illuminato. Vi ricorda qualcosa, per caso?
La Scurnacchiera
Tra le vie di Introdacqua, nella notte di Ognissanti, vaga la “Scurnacchiera”, una processione di defunti che si reca nella chiesa principale del paese. Qui, un parroco defunto recita la messa per le anime, che sarebbero andare a banchettare nelle abitazioni dei loro parenti prima di tornare nelle tombe. Imbattersi in questa processione, aperta dai bambini nati morti e chiusa dalle anime degli anziani, significava morte vicina.
La fine del Capetièmpe
La serie di riti legati a Capetièmpe (tra i quali il giro di questua o le monete nascoste nei dolci) sono definitivamente tramontati con l’avvento del boom economico, quando le campagne peligne vennero abbandonate per lavorare in fabbrica. E chissà, se proprio in quelle stesse campagne, tra qualche notte torneranno a far visita gli spiriti.